Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è frutto di un approfondito confronto condotto tra quanti in Italia lavorano nel settore della danza e quanti amano questa ancestrale e nobilissima forma di cultura e di amore per il linguaggio e per le espressioni artistiche di cui il corpo umano è capace. Il confronto, articolato e analitico, ha interessato forze politiche di ogni schieramento, tanto che può dirsi, a ragione, che si tratta di una proposta di legge «bipartisan» condivisa dai tanti parlamentari interessati alle sorti dell'arte coreutica italiana. Gli incontri e le conferenze hanno coinvolto esponenti di primo piano del mondo culturale, politici, studiosi, esperti, giornalisti, danzatori e sono stati arricchiti dai contributi e dalle esperienze sia di varie personalità del settore tra cui la signora Carla Fracci, il sovrintendente del Teatro dell'opera di Roma e vice presidente di Opera Europa commendatore Francesco Ernani e il professor Alberto Testa, sia delle segreterie nazionali dei sindacati maggiormente rappresentativi, sia del coordinamento nazionale dei corpi di ballo.
      Dall'analisi è emerso che la danza è amata dal pubblico, che partecipa numeroso alle rappresentazioni ed è in costante aumento, tanto che non è raro avere difficoltà a trovare i biglietti d'ingresso per

 

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gli spettacoli, data l'insufficienza delle repliche messe in cartellone.
      Il balletto come espressione artistica compiuta della danza è nato in Italia, ha fatto scuola nel mondo per secoli, esportando danzatori, coreografi e maestri di ballo di eccellente qualità, che hanno creato e diffuso nuovi passi, movimenti, virtuosismi tecnici, metodi di studio, oggi internazionalmente riconosciuti, al punto da essere entrati nelle codificazioni, nomenclature e programmi di studio di tutte le scuole e i teatri del mondo. In tale senso, si possono citare tra gli altri: il sommo Salvatore Viganò, napoletano, apprezzatissimo da Stendhal con i suoi grandiosi coreodrammi, maestro di Carlo Blasis, importante teorico e pedagogo che ha formato molti artisti tra i quali il fiorentino Giovanni Lepri insegnante a sua volta del romano-marchigiano Enrico Cecchetti, il maestro di danza più famoso del XIX secolo; la famiglia Taglioni con il padre Filippo e con la figlia Maria, modello insuperato di ballerina romantica; il milanese Luigi Manzotti che ha celebrato il genio umano e il progresso della scienza con il suo leggendario «Ballo Excelsior» che dal 1881, in circa trenta anni, fece il giro del mondo con migliaia di repliche, di cui molte centinaia nella sola Parigi. Tuttavia già prima dell'arrivo di questi celebri artisti italiani che dalla fine del settecento in poi hanno influenzato universalmente l'evoluzione della danza, moltissime sono le testimonianze e le cronache che indicano l'Italia come culla dell'arte di Tersicore. Si pensi, ad esempio, al trattato «De arte saltandi et choreas ducendi» del 1416 del grande Domenico da Piacenza (o da Ferrara), o agli scritti dei suoi discepoli Guglielmo Ebreo da Pesaro «De practica seu arte tripudii» del 1463, e Antonio da Cornazano «Libra dell'arte del danzare» del 1465; o ai primi balletti veri e propri, storicamente attribuiti al pavese Bergonzio Botta, tra i quali spicca il sontuoso «Balletto conviviale» allestito nel 1489 a Tortona in occasione del matrimonio di Galeazzo Sforza, duca di Milano, con Isabella di Aragona; o al «Ballet comique de la Royne» commissionato nel 1581 a Parigi dalla regina di Francia Caterina de' Medici al geniale italiano Baldassarino da Belgioioso, allievo di quel Pompeo Diobono che nel 1545 a Milano aveva aperto la prima, e più famosa in Europa, scuola di ballo nobile; o ancora a «Il ballarino» di Fabrizio Caroso da Sermoneta del 1581, una sorta di «vangelo» della danza, «best-seller» dell'epoca che, tra le varie ristampe e riedizioni, ne annovera una con «prefazione» di Torquato Tasso; o all'importante trattato «Le Gratie d'Amore» del 1602, riedito come «Nuove inventioni di balli» nel 1604 di Cesare Negri, pure lui milanese allievo del Diobono, in cui sono descritte tra le varie norme stilistiche anche l'impostazione dei piedi in fuori e le cinque posizioni tuttora a fondamento della tecnica accademica classica; e molti altri esempi potrebbero riportarsi, inclusa la settecentesca piccante polemica epistolare tra il fiorentino Gaspero Angiolini e il francese Jean-Georges Noverre sulla paternità del balletto d'azione. Però, nonostante questa storia gloriosa e di imperituri successi che ci hanno visti da sempre ai vertici mondiali, negli ultimi 25-30 anni la danza italiana è diventata la «Cenerentola» trascurata e sacrificata dei teatri e dello spettacolo.
      Di tali trascuratezza e oblio sono stati responsabili, talvolta, sia nei teatri lirico-sinfonici, che nelle altre realtà dove si organizzano spettacoli, una gestione spesso disattenta o poco capace e un disinteresse delle istituzioni politiche. Sono mancati progetti artistici e specifiche scelte politico-istituzionali che non solo hanno bloccato lo sviluppo della danza, ma l'hanno mortificata, arrivando fino allo scioglimento senza motivi reali di molte delle compagnie stabili di ballo e a disperdere ottime eccellenze coreutiche, che in esse si sono formate, deludendo inoltre le aspettative di tanti giovani che aspiravano a dedicare la propria vita a quest'arte. Pertanto sono venuti a mancare fondamentali punti di riferimento e molti di questi giovani e di quei professionisti sono stati costretti a trovare migliore fortuna artistica all'estero, anziché in Italia. È addirittura innegabile che ci sia stata una precisa volontà che ha portato, attraverso la riduzione delle repliche di balletto dai cartelloni, alla riduzione degli organici,
 

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senza che ci fossero problemi di pubblico, artistici o economici. Ancora oggi si continua, sempre senza una ragione reale, nel tentativo di chiudere i corpi di ballo superstiti. Negli ultimi anni sono sparite via via le compagnie di importanti teatri come quelli di Torino, Bologna, Venezia, Genova, Catania e Trieste, e altre vivono una situazione di crisi. Ciò, oltre a provocare una pesante decadenza culturale, ha determinato nel settore della danza anche una gravissima perdita di posti di lavoro.
      Le risorse economiche sottratte alla danza sono state assorbite da altre attività, ma nei teatri dove i corpi di ballo sono stati chiusi non vi è stato alcun risparmio di spesa e i bilanci non sono certo migliorati, quando non sono piuttosto peggiorati. Chiunque voglia può averne la prova inconfutabile leggendo i documenti contabili. Al contrario, le fondazioni che hanno un proprio corpo di ballo dispongono di una struttura produttiva d'interesse collettivo, alla stregua dell'orchestra e del coro, che da un lato rappresenta un valore aggiunto, dall'altro un fattore economico positivo che permette la realizzazione anche di spettacoli di un genere diverso da quello lirico con una spesa naturalmente più contenuta: i costi di produzione di spettacoli coreutici sono inferiori, infatti, fino a 8-10 volte rispetto a quelli dei più impegnativi allestimenti lirici, con tempi di prova in palcoscenico molto più brevi. Grazie a questi fattori, realizzando spettacoli di balletto e incrementandone il numero, è possibile aumentare il numero complessivo delle recite realizzate dal teatro, con impegni finanziari contenuti e ottimizzando l'uso di strutture e di personale.
      La danza è stata condotta lungo un terribile crinale discendente che per l'Italia rappresenta una perdita inestimabile di patrimonio artistico e di identità culturale, costruiti dal genio dei nostri artisti per secoli ininterrotti. Le prospettive di un serio futuro professionale in Italia per i moltissimi studenti di scuole e accademie di danza sono ormai residuali, nonostante le giovani generazioni pongano ai primi posti tra le proprie aspirazioni il poter lavorare come ballerini (si vedano al riguardo i dati Eurispes nel V «Rapporto nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza» del 2004), dimostrando così come la danza abbia anche un altissimo valore formativo e pedagogico. Ciononostante non sono state neppure adottate politiche per supportarne lo studio e per coordinarlo con adeguati percorsi formativi ai vari livelli. In Italia la danza rischia di estinguersi e, sebbene vorremmo riportarla ai fasti del passato, auspichiamo con la presente proposta di legge di darle nuova vita e nuova linfa.
      La danza è stata sopraffatta da una certa idea di business che considera inutile la cultura e che rende strutturalmente fragile l'intero settore culturale. In modo particolare, l'arte coreutica non è in grado di attrarre l'interesse di quanti nell'arte investono capitali ingenti solo per averne in ritorno grandi profitti; non movimenta e non richiede quell'impiego di ingenti capitali che possono agevolare «facili» guadagni economici, ma richiede piuttosto quell'attenzione, competenza, amore per la qualità artistica e grande sensibilità intellettuale che le permettano di continuare ad essere quell'arte in grado di elevare l'animo umano e di offrire emozioni, crescita interiore e arricchimento culturale in chi ne fruisce e in chi la pratica.
      La presente proposta di legge introduce misure urgenti minime non procrastinabili, a tutela e a salvaguardia della danza, del balletto e dei corpi di ballo, che di fatto non comportano aumenti di spesa - tra l'altro i danzatori professionisti sono poche centinaia di unità - ma che da sole sono in grado di servire alla danza come fondamentali presupposti per un percorso nuovo e differente, capace di invertire il trend rappresentato. Con facilità queste misure in futuro potranno anche integrarsi con altre organiche e di più ampio respiro.
      L'articolo 1 fissa la precisa nomenclatura per gli enti che il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, ha trasformato in fondazioni. Tali fondazioni, che vengono ora correttamente chiamate «fondazioni lirico-sinfoniche coreutiche», contengono già nel nome il riferimento diretto all'arte
 

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coreutica, esplicitando la pari dignità della danza con le altre arti e ribadendo che le attività di produzione ad essa correlate sono tra le finalità istituzionali costitutive delle fondazioni, come implicitamente prevedeva già la legge n. 800 del 1967, ma che spesso si è voluto scientemente trascurare.
      L'articolo 2 riguarda la valutazione dell'attività delle fondazioni e delle loro caratteristiche qualitative ai fini della ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo (FUS). Viene previsto che il punteggio assegnato agli spettacoli di balletto sia pari a quello degli spettacoli di opera lirica. Viene altresì rimossa una discriminazione tra forme di spettacolo che rappresentano un aspetto fondamentale della nostra identità storico-culturale e che senza un sostegno economico pubblico adeguato non riescono a sopravvivere.
      L'articolo 3 contiene i princìpi per ripartire i contributi statali del FUS, stabilendo che alle fondazioni che hanno in organico un proprio corpo di ballo siano assegnate risorse proporzionalmente maggiori rispetto a quelle fondazioni che un corpo di ballo non lo hanno. Risorse ulteriormente maggiorate sono attribuite alle fondazioni che hanno anche una scuola stabile di ballo con corsi di formazione pluriennale completi con rilascio di diploma al termine del ciclo formativo. Per assicurare l'agibilità delle fondazioni nella loro programmazione è stabilito che la quota del FUS assegnata a ciascuna sia garantita per almeno un triennio. Inoltre si fissano due princìpi generali ai quali il Ministro per i beni e le attività culturali deve attenersi nella ripartizione delle risorse del FUS: 1) prevedere per le fondazioni l'obbligo di una programmazione bilanciata tra gli spettacoli di opera lirica e quelli coreutici; 2) prevedere il vincolo per le fondazioni di destinare una percentuale significativa delle risorse impiegate per la produzione di spettacoli alla produzione o alla co-produzione di balletti, in misura non inferiore al 20 per cento delle spese globali di produzione. Pur lasciando alla piena competenza dei direttori artistici, dei sovrintendenti e dei dirigenti la programmazione e la scelta delle linee artistiche, vengono indicati alcuni criteri chiari da seguire, utili a garantire che i centri di produzione teatrale sovvenzionati con denaro pubblico perseguano correttamente i fini culturali istituzionalmente stabiliti. In tal modo si evita che eventuali scelte errate, talvolta legate principalmente alla sensibilità o agli interessi di chi è temporaneamente deputato a scegliere, possano continuare a creare danni irreparabili al nostro patrimonio culturale.
      L'articolo 4 assicura che i teatri conservino i corpi di ballo stabili, ne reintegrino la consistenza numerica ove eventualmente ridotta o li ripristinino lì dove negli ultimi anni sono stati eliminati. Il comma 2, nello specifico, elenca i teatri presso i quali è stata negli anni eliminata la compagnia stabile di ballo prevedendo che questa venga ripristinata o, in alternativa, che i teatri contribuiscano alla fondazione di compagnie stabili di danza collegate alle proprie attività e al territorio. I teatri che non ottemperassero all'obbligo entro tre anni dalla data di entrata in vigore dalla legge, si vedranno ridotte le quote del FUS ad essi destinate. La previsione di questo articolo, come il precedente, intende restituire alla danza le risorse che le sono state sottratte: in questo modo si assicura che la danza italiana e i ballerini professionisti italiani che la fanno vivere non siano volutamente condannati a scomparire, ma possano continuare ad avere un futuro, fornendo alle nostre compagnie stabili di ballo gli strumenti per un buon funzionamento e per continuare a realizzare e a rappresentare in Italia anche il repertorio ballettistico. Così si continua anche a dare a molti giovani studenti aspiranti artisti, la possibilità di lavorare in un progetto culturale e di vita che possa vederli, appunto, veri ballerini professionisti, potendo ancora continuare a fare della danza non un estemporaneo svago amatoriale, ma una reale «professione» a tutti gli effetti, seria e solida, che allo stesso tempo rappresenta un'eccellenza artistica raggiungibile unicamente con totali dedizione, impegno, studio e sacrificio fin da molto piccoli. I posti di lavoro che si riusciranno a mantenere
 

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o a recuperare, non rappresenterebbero un costo aggiuntivo perché, appunto, si tratterebbe del recupero o del mantenimento di risorse già in precedenza destinate al settore della danza. A tale proposito è bene ricordare che un balletto è uno spettacolo dal vivo che realizza un progetto artistico-culturale di cui il danzatore è fisicamente una parte essenziale e costitutiva: egli stesso è, per così dire, il prodotto artistico finale e non un semplice mezzo per fabbricarlo; non è semplice mano d'opera o forza lavoro, riducendo la quale si ottiene un risparmio, ma è egli stesso parte dell'investimento produttivo senza il quale non esisterebbe il progetto-prodotto culturale «spettacolo».
      Inoltre in questo modo si tirano fuori le fondazioni dalla logica che le vorrebbe semplici centri di business, nei quali le attività di spettacolo sono praticate con l'unico obiettivo di ottenere un risultato economico, comunque da non perdere di vista, ma senza sacrificare alla sola logica di mercato l'arte, l'identità culturale italiana, la tradizione e la storia che la danza rappresentano appieno. Non si può prescindere dal bilanciamento tra tutti questi differenti aspetti laddove si voglia continuare a realizzare in Italia spettacoli coreutici dal vivo di qualità. È indispensabile evitare che, per la danza e per il balletto, le fondazioni italiane da importantissimi centri di produzione culturale finiscano con l'essere trasformate in semplici e vuoti contenitori destinati alla distribuzione e alla circuitazione di «prodotti» fabbricati chissà dove, magari anche in modo illegale e non professionale, come testimoniano casi di cronaca accaduti in altri Paesi europei, per esempio in Francia. Non si può sottovalutare e non avere la lungimiranza di considerare la grandissima importanza di continuare ad avere nel nostro Paese strutture che realizzano sul posto, con continuità e in modo organico, prodotti e progetti culturali di qualità, fruibili da tutti i cittadini: oltre al prestigio che recano alla comunità e al territorio nel quale si trovano, esse rappresentano un motore e uno stimolo per molteplici attività connesse e sviluppano un indotto consistente, non ultimo il turismo culturale.
      L'articolo 5 prevede che le fondazioni che non hanno un proprio corpo di ballo, rappresentino spettacoli di danza e di balletto facendo ricorso per almeno il 50 per cento a compagnie di danza italiane, preferibilmente collegate ad un altro ente o fondazione italiano.
      Il comma 2 prevede che ogni istituzione e teatro, diversi dalle fondazioni, che ricevono sovvenzioni pubbliche e che organizzano spettacoli di danza e di balletto, devono affidare le rappresentazioni, almeno per il 40 per cento a compagnie italiane. Anche in questo modo, per evitarne l'estinzione, si intendono sostenere e dare opportunità lavorative e di crescita ai ballerini italiani e alle compagnie di ballo italiane. La ratio di tale previsione sta nel voler incentivare la formazione di compagnie e gruppi di danza nazionali e nel creare spazi all'interno dei quali possano svilupparsi, crescere ed esprimersi la creatività e il talento artistici di tutti coloro che sono coinvolti nella danza. Senza tale misura, il balletto e la danza italiani sono destinati definitivamente a scomparire, come mostrano i dati statistici che li riguardano. Lo spettacolo dal vivo, che non è semplice merce da commerciare, è riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale come «eccezione culturale», pertanto non vi sono timori di possibili obiezioni da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato o dell'Unione europea. D'altra parte la nostra stessa Costituzione protegge le attività di spettacolo dal vivo quali componenti essenziali della cultura e quindi dell'identità nazionale (articoli 9, primo comma, e 33).
      L'articolo 6, infine, prevede interventi in materia di previdenza dei tersicorei, per porre riparo a distorsioni realizzatesi con l'ultima riforma pensionistica, che è andata a regime troppo in fretta non tenendo sufficientemente conto delle caratteristiche specifiche del settore. La disposizione va nella direzione di assicurare un efficace ricambio (turn over) tra i ballerini che vanno in pensione e quelli
 

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che vengono assunti al loro posto, in modo da preservare il corretto funzionamento dell'intero corpo di ballo, assicurando che siano presenti in esso, in modo omogeneo, ballerini di ogni fascia d'età. Il corpo di ballo, infatti, è da vedere come un organismo con un equilibrio molto delicato che necessita di forze ed energie sempre nuove che possono crescere stilisticamente e tecnicamente accanto all'esperienza e al carattere di ballerini più adulti, professionalmente completi. Se si rompe questo equilibrio, essenziale per poter coprire correttamente tutti i differenti ruoli e parti che il repertorio dei balletti richiede, si mette in crisi l'intero organismo. L'articolo propone un punto di equilibrio, economicamente sostenibile, tra capacità, prestazioni fisiche del singolo e repertorio del corpo di ballo da un lato, ed efficienza e funzionalità artistica complessiva del corpo di ballo, dall'altro.
      Il comma 2 del medesimo articolo, per compensare la fortissima decurtazione della somma pensionistica che si matura con il nuovo sistema ora vigente, amplia la fascia di applicazione del sistema di calcolo retributivo inizialmente stabilita. Infatti solo oggi, con oltre dodici anni di ritardo, sta prendendo corpo l'allora prevista introduzione della pensione integrativa pensata per assicurare un contenimento delle perdite sulla pensione maturata nel passaggio da un sistema retributivo ad uno contributivo. Occorre intervenire con urgenza per garantire la professionalità dell'attività di danzatore: infatti, a causa di innumerevoli fattori, tra i quali la tipologia e le peculiarità del settore coreutico, che lo rendono in assoluto il più danneggiato, questo grande ritardo non è altrimenti recuperabile e si prospettano a breve termine pensioni al di sotto di quelle previste per il minimo sociale. L'impatto finanziario della modifica proposta, anche in considerazione del fatto che i danzatori professionisti sono poche centinaia, è pressoché irrisorio come calacolato, per eccesso, dall'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico (ENPALS). L'onere annuale per i prossimi tredici anni è puntualmente rappresentato nella tabella seguente.

VALUTAZIONE DEL MAGGIOR ONERE CONSEGUENTE ALL'IPOTESI DI RIFORMA DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE RELATIVA A BALLERINI E TERSICOREI DEGLI ENTI LIRICI E DELLE FONDAZIONI LIRICO-SINFONICHE

COMPLESSO
(importi in migliaia di euro)

Anni 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 Totale

2008 71,7                         71,7
2009 73,2 66,9                       140,1
2010 74,6 68,3 72,9                     215,7
2011 10,1 70,0 74,3 121,3                   275,7
2012 10,3 4,3 75,8 123,7 112,0                 326,0
2013 10,5 4,3 9,3 126,2 114,2 76,8               341,4
2014 10,7 4,4 9,5 8,3 116,5 78,4 24,6             252,4
2015 10,9 4,5 9,6 8,5 13,7 79,9 25,1 226,3           378,6
2016 11,1 4,6 9,8 8,6 14,0 10,3 25,6 230,8 173,4         488,4
2017 11,4 4,7 10,0 8,8 14,3 10,5 8,1 235,5 176,9 154,5       634,6
2018 11,6 4,8 10,2 9,0 14,6 10,7 8,3 20,4 180,4 157,6 137,1     564,7
2019 11,8 4,9 10,4 9,2 14,9 10,9 8,4 20,8 16,4 160,7 139,9 156,2   564,6
2020 12,1 5,0 10,6 9,3 15,2 11,2 8,6 21,2 16,7 12,5 142,7 159,3 23,3 447,7
Totale 330,0 246,6 302,5 432,9 429,4 288,8 108,6 755,1 563,8 485,3 419,7 315,5 23,3 4.701,6
 

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      La norma, affiancata da una calibratura ad hoc dei fondi integrativi appena introdotti e in corso di definizione, può riuscire a garantire la sopravvivenza della figura professionale del danzatore che altrimenti è destinata a scomparire.
      Il contenuto dell'articolo 6 vuole riproporre i contenuti di un emendamento al disegno di legge finanziaria 2005 (atto Camera n. 5310-bis) n. 5310-bis/11/21 - «tecnico» e «bipartisan» - approvato dalla Commissione Lavoro della Camera dei deputati nella XIV legislatura.

 

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